LA SCOPERTA DELLA TOMBA DI PIETRO A GERUSALEMME - 1953 di F. Paul Peterson


Mentre visitavo un amico in Svizzera, sentii parlare di quella che secondo me è una delle più grandi scoperte dal tempo di Cristo: che cioè Pietro è stato sepolto a Gerusalemme e non a Roma.
 La fonte di questa notizia incontrollata, scritta in italiano, non era chiara, e lasciava considerevole spazio al dubbio o piuttosto all’interrogativo. Roma era il posto in cui potevo investigare in proposito, e se tale esperienza era incoraggiante, poteva rendersi necessario un viaggio a Gerusalemme per poter raccogliere valide informazioni di prima mano sul soggetto.


Mi recai quindi a Roma. Dopo aver parlato con molti sacerdoti e controllato varie fonti di informazioni, alla fine fui grandemente ricompensato nell’apprendere dove potevo comprare il solo libro riconosciuto sul tema che era pure scritto in italiano. Il suo titolo è: "Gli scavi del Dominus Flevit." Stampato nel 1958 alla tipografia PP Francescani a Gerusalemme.



Era stato scritto da P.B. Bagatti e J.T. Milik, entrambi sacerdoti cattolici romani. C’era la storia della scoperta, ma sembrava fosse dimenticata di proposito come se non ci fosse. Decisi di conseguenza di andare a Gerusalemme io stesso, se possibile, poiché sembrava quasi incredibile, specialmente da quando erano venuti quei sacerdoti, i quali naturalmente a causa dell’esistenza della tradizione per cui Pietro era stato sepolto a Roma, sarebbero stati i soli ad accogliere di buon grado una tale scoperta per portarla cioè all’attenzione del mondo.



A Gerusalemme parlai con molti preti francescani, i quali alla fine avevano tutti letto, benché di malavoglia, che le ossa di Simone Bar Jona (san Pietro) erano state trovate a Gerusalemme, sul posto del monastero francescano detto "dominus flevit" (là dove si ritiene che Gesù abbia pianto su Gerusalemme), sul monte degli Ulivi. Le immagini narrano la storia. La prima mostra uno scavo sui quali ossari (recipienti di ossa) dove erano stati trovati nomi di caratteri cristiani biblici. Su un contenitore furono trovati i nomi di Maria e Marta e nelle vicinanze ce n’era uno col nome di Lazzaro, loro fratello. In altri contenitori vennero trovati altri nomi di cristiani del principio. Comunque, di interesse maggiore fu quello che fu trovato a poco più di 3 metri dal posto in cui erano stati riscontrati i resti di Maria, Marta e Lazzaro: i resti di san Pietro. Furono trovati in un ossario, fuori sul quale stava scritto chiaramente e meravigliosamente in aramaico: SIMONE BAR JONA.


Ne parlai al professor Yale, che è un archeologo ed era direttore della Scuola Americana di Ricerche Orientali a Gerusalemme. Questi mi disse che sarebbe stato molto improbabile che un nome di tre parole e così completo non potesse riferirsi ad altri che a san Pietro.


Ma ciò che allontana ogni possibilità di errore è che si è trovato in un luogo di sepoltura cristiano, e per di più del primo secolo, dello stesso periodo in cui visse Pietro. Ho infatti una lettera di un noto scienziato che afferma di saper dire dello scritto che fu fatto appena prima della distruzione di Gerusalemme a opera di Tito nel 70 dopo Cristo.

Parlai al sacerdote, colui che ha collaborato nello scrivere questo libro italiano, in presenza di un mio amico, un cristiano arabo, il signor S.J. Mattar che ora è il custode del ‘Giardino sepolcrale’, dove Gesù fu sepolto e risuscitò. Questo prete, Milik, ammise di sapere che le ossa di san Piretro non si trovano a Roma. Fui molto sorpreso che l’avesse ammesso, tanto che per confermare la sua ammissione, dissi che anch’io ero d’accordo: "È cento volte più evidente che Pietro sia stato sepolto a Gerusalemme anziché a Roma." Questo era come una dichiarazione modesta, in quanto che lui sapeva come lo so io che non c’è assolutamente nessuna prova che Pietro sia stato sepolto a Roma.


Ho parlato del soggetto a molti preti francescani che erano o erano stati a Gerusalemme, e sono tutti d’accordo che la tomba e i resti di Pietro si trovano a Gerusalemme. Ci fu solo una interessante eccezione che dimostra solo il punto. Il prete francescano Augusto Spykerman, che era in parte responsabile del museo dentro le mura della Gerusalemme vecchia, dal sito della chiesa francescana della flagellazione, fu l’eccezione. Quando gli chiesi di vedere il museo, lo mostrò a tre di noi, al signor Mattar, che oltre a essere guardiano alla Tomba di Cristo, era stato il manager della banca inglese a Gerusalemme, a un fotografo professionista e a me stesso. Ma non ci disse niente della scoperta. Sapevo che c’era stata l’evidenza della sepoltura di Pietro, perché i sacerdoti mi avevano detto che i resti dal cimitero cristiano erano stati preservati entro questo museo. La gente che ha vissuto a Gerusalemme e tutti coloro che ci vivono e le guide ufficiali che sono destinati a sapere ogni centimetro della città, comunque, non sapevano niente di questa scoperta, che era stata pure nascosta al pubblico.

Avevo chiesto all’anziana guida ufficiale dove si trovasse la tomba di Pietro. Mi rispose in un tono di voce davvero profondo e maestoso: "La tomba di san Pietro non è mai stata trovata a Gerusalemme". "Oh", feci: "ma io ho visto il sito di sepoltura coi miei stessi occhi!" Si girò verso di me con una fierezza che tra gli arabi è molto comune. "Cosa?" replicò: "Tu, uno straniero mi vuoi dire dove si trova la tomba di san Pietro quando sono la guida ufficiale da 35 anni e conosco ogni centimetro di terreno a Gerusalemme?" Ebbi paura che mi saltasse al collo. Riuscii a calmarlo perché dissi: "Ma signore, qui ci sono le foto e lei può vedere tra gli altri l’ossario col nome di Pietro in aramaico. Può anche vederlo da sé sul Monte degli Ulivi sul convento francescano sul punto detto 'Dominus Flevit'".

Quando terminai, lui si girò lentamente con grande stupore. Una persona che abbia visto questo terreno di sepoltura cristiana e conosce le circostanze intorno al caso non potrebbe mai dubitare che questo sia effettivamente il luogo di sepoltura di san Pietro e di altri Cristiani. Anche io, agii come in un sogno sbalorditivo per almeno una settimana perché a stento riuscivo a credere ciò che avevo visto e udito. Da quando si è diffuso questo articolo, non permettono a nessuno di vedere questo posto di sepoltura.

Prima che le cose si attenuassero, ero quasi scoraggiato perché non potevo ottenere alcuna informazione da tanti sacerdoti con i quali avevo parlato. In ogni caso, continuai a fare delle domande a tutti quei preti che mi capitavano. Alla fine un prete si lasciò sfuggire un’informazione. Saputo quello, affrontai un altro sacerdote che mi chiese con aggressività dove io avessi acquisito quella informazione. Gli riferii che me lo aveva detto un prete. Allora ammise il punto e si lasciò sfuggire un’altra piccola informazione. Continuai così per un pò fino a completare il quadro e alla fine mi diressi dove io stesso potevo constatare l’evidenza. Venire a capo della storia mi fece sentire come se avessi afferrato un toro per la coda e stessi cercando di farlo passare attraverso il buco della chiave. Ma quando ebbi raccolto tutti i dati del caso, i sacerdoti non poterono negare la scoperta della tomba, e benché di malavoglia invece lo confermarono. Ho infatti la dichiarazione registrata di un prete spagnolo sul Monte degli Ulivi per quello effetto.

Ma qui ne parlammo a questo sacerdote francescano che si occupa del museo, ponendo domande a cui cercava di sfuggire ma che non ci riuscì a causa della informazione che avevo già raccolto dai tanti preti con cui avevo parlato. Infine, dopo che furono scattate le foto che lo dimostravano, non era niente altro che un miracolo che ci aveva permesso di farlo, mi complimentai per la meravigliosa scoperta della tomba di san Pietro a Gerusalemme che i francescani avevano fatto. Questi era chiaramente nervoso al punto che esclamò: "Oh, no! La tomba di Pietro è a Roma!" Ma mentre diceva così, la sua voce esitò, un fatto che anche il mio amico, mister Mattar, aveva rilevato. Lo fissai poi dritto negli occhi e dissi fermamente: "No! La tomba di san Pietro è a Gerusalemme!" Mi guardò come uno scolaretto colto in fallo e restò zitto. È fuor di dubbio che sia stato messo lì per nascondere i fatti, ma le sue azioni e le parole, parlavano con più convinzione sulla scoperta che quei sacerdoti alla fine avevano ammesso la verità.

Parlai pure a un autorevole prete francescano alla "stamperia sacerdotale delle piante" entro le mura di Gerusalemme, dove era stato stampato il libro sull’argomento. Ammise pure che la tomba di san Pietro è a Gerusalemme. Quando poi visitai la chiesa della natività a Bethlehem, incontrai un monaco francescano. Dopo avergli riferito cosa pensavo della meravigliosa scoperta che i francescani avevano fatto, gli chiesi chiaramente: "Credete per davvero che quelli siano i resti di Pietro?" Mi rispose: "Sì, lo crediamo, non abbiamo altra scelta. Là c’è la prova evidente". Io non dubitavo dell’evidenza, ma ciò che mi sorprese fu che quei sacerdoti e i monaci credessero che quello fosse contro la loro stessa religione e soprattutto che ammetterlo ad altri fosse qualcosa fuori da questo mondo. Un cattolico di solito o a causa del lavaggio del cervello che gli viene fatto o per caparbietà non vogliono vedere niente oltre a quello che gli è stato insegnato e non permetteranno a sé stessi di credere qualcosa che sia contro la loro stessa religione, tanto più lo ammetteranno con altri. Ma tra tanti cattolici c’è in aumento la sana abitudine di provare ogni cosa per ritenere ciò che è bene, come Paolo ammonì tutti noi.

Così, a colui che aveva collaborato alla stesura del libro in questione in italiano e archeologo io chiesi: "Padre Bagatti, lei crede sul serio che quelle siano le ossa di san Pietro?" "Sì che lo credo!" fu la replica. Domandai poi: "Ma cosa ne pensa il papa di tutto questo?"

Quella era una domanda da mille dollari e lui mi diede una risposta da un milione di dollari! "Beh", rispose lui in confidenza, a voce bassa: "Padre Bagatti mi ha detto personalmente di essere andato tre anni fa a Roma dal papa (era Pio XII) e di avergli mostrato la prova e il papa gli ha detto: ‘Bene, dovremo apportare dei cambiamenti ma per il momento continuiamo a tacere questo fatto’".

Anche a bassa voce domandai: "Allora il papa crede veramente che quelle siano le ossa di san Pietro?" "Sì", fu la sua risposta. "La prova documentata è là, non avrebbe potuto fare a meno di credere".

Visitai diversi archeologi di fama sull’argomento. Il dottor Albright, dell’università John Hopkins di Baltimora, mi disse di avere conosciuto personalmente il sacerdote Bagatti e che era un archeologo molto competente. Parlai inoltre col dottor Nelson Gluek, archeologo e presidente dell’Hebrew Union College di Cincinnati, Ohio. Gli mostrai le foto, ma intrattenendomi con lui solo per alcuni minuti non potei quindi fargli vedere l’abbondanza di materiale che avete davanti a voi in questo articolo. Ad ogni modo, ammise che le parole aramaiche erano "Simon Bar Jona". L’aramaico è molto simile all’ebraico. Gli chiesi di rilasciarmi una dichiarazione per quell’effetto. Mi disse che il farlo avrebbe gettato un’ombra sulla competenza del sacerdote J.T. Milik che sapeva essere abilissimo scienziato, ma aggiunse di voler scrivere il commento che riporto:

"Considero J.T. Milik come uno studioso di prima categoria nel campo semitico". Continua: "Non considero che i nomi sugli ossari siano la prova definitiva che appartengano agli apostoli". Nelson Glueck.

Cito questa lettera del dottor Gluech poiché dimostra che il sacerdote Milik è un archeologo competente. Come ho già menzionato, potei stare con lui solo per pochi minuti e non sono stato in grado di mostrargli che una minima parte delle prove. Tutti, compreso me, sarebbero stati d’accordo col dottor Glueck che se tutta l’evidenza che era disponibile fosse stata solo il nome Simon Bar Jona sull’ossario, non sarebbe stata l’evidenza definitiva che si trattava dell’apostolo Pietro, benché costituisse senza dubbio una forte indicazione. La storia della grotta e degli ossari e il solito cimitero appena fuori del sito del convento è questo: era usanza romana che quando una persona fosse morta, dopo circa dieci anni da che il corpo si era decomposto, la tomba sarebbe stata aperta. Le ossa sarebbero state deposte in un piccolo ossario col nome della persona scritto con cura all’esterno. Questi ossari sarebbero stati messi in una grotta in caso di questo suolo di sepoltura cristiana, per fare spazio ad altri. Ma in questa grotta cioè nel luogo di sepoltura erano stati trovati gli ossari che furono creati e portati a termine nella naturale e disinteressata sequenza di eventi, e non c’è alcuna ragione di cambiare fatti e circostanze, il che sarebbe stata una testimonianza più grande che se fosse stata rilasciata testimonianza in una dichiarazione per la quale Pietro era stato sepolto là. E malgrado tutto, anche questo è inconfondibilmente registrato in tre parole aramaiche dell’ossario: Simone Bar Jona.

Qui c’è la prova più grande che Pietro non era un papa e che non è mai stato a Roma, perché se ci fosse stato, ciò sarebbe stato certamente menzionato nel Nuovo Testamento. Nello stesso tempo la storia non dovrebbe tacere su tale argomento, come non ha taciuto nel caso dell’apostolo Paolo. Anche la storia cattolica l’avrebbe reclamato come un fatto e non come incerta tradizione. Omettere che Pietro fosse papa e che si trovasse a Roma (nel papato) sarebbe come omettere la Legge di Mosè o i Profeti o gli Atti degli Apostoli dalla Bibbia.

Il dottor Glueck, che è ebreo e che è stato a Gerusalemme, è senza dubbio pienamente consapevole del fatto che per secoli la Chiesa Cattolica abbia proposto quelli che erano considerati posti sacri, alcuni dei quali non trovavano riscontro nella descrizione biblica. Per esempio, i preti dicono che la tomba di Gesù si trova all’interno delle mura della vecchia Gerusalemme, in un buco per terra, mentre la Bibbia afferma che la tomba dove Gesù fu deposto era stata ricavata dalla roccia e che una pietra fu rotolata sul davanti e non al di sopra. Il giardino in cui si trova la tomba ai piedi del Golgota, fuori dalle mura di Gerusalemme, corrisponde perfettamente alla descrizione biblica. Infatti, tutti quelli che furono odiati dai conduttori ebrei, come lo fu Gesù, non avrebbero mai avuto il permesso di essere sepolti all’interno delle mura della Città Santa. La tomba dove fu deposto Gesù era stata creata per Giuseppe di Arimatea. Tutta la sua famiglia era robusta e di statura bassa. In questo sito di sepoltura si può vedere oggi dove qualcuno ha inciso in profondità il muro per ricavare spazio per Gesù di cui si era detto che aveva una statura approssimativa di 1,80 centimetri.


Quando il papa Pio XII dichiarò che l’Assunzione di Maria nel 1950 era un articolo di fede, la chiesa cattolica a Gerusalemme vendette allora subito la tomba di Maria alla chiesa arminiana. 
L’ex sacerdote Lavallo mi disse personalmente che ad Efeso c’era un’altra tomba di santa Maria, ma per la tomba di Pietro è del tutto diverso perché per loro non era nemmeno esistita e comprare o vendere un tale sito sarebbe stato fuori discussione. Fu per questo che si trovarono in difficoltà, come mi fu detto da un monaco francescano del monastero di "Dominus Flevit". Uno dei loro membri lavorava con la vanga il terreno di questo sito nel 1953, quando gli cadde la pala. Si cominciò a scavare e là fu scoperto un ampio terreno di sepoltura cristiano. Là vi era scritta l’iniziale di Cristo, che non si era mai trovata in un cimitero giudaico, arabo o pagano. Dal tipo di scritta fu stabilito dagli scienziati che si trattava dei giorni appena prima della distruzione di Gerusalemme a opera di Tito nel 70 A.C. Sugli ossari vennero trovati molti nomi dei Cristiani della chiesa del principio. Nella Bibbia era stato profetizzato che Gesù, al Suo ritorno sulla terra, sarebbe stato sul monte degli Ulivi. Potete allora vedere come i Cristiani sarebbero stati inclini a fare del Monte il loro luogo di sepoltura, perché qui inoltre, era stato il luogo di riunione preferito da Gesù e dai Suoi discepoli. In tutto il cimitero, così come nelle catacombe a Roma, non si trovò niente somigliasse a pratiche arabe, giudaiche, cattoliche o pagane. Il dottor Glueck, che era giudeo, non è pienamente consapevole, senza dubbio, che una tale scoperta è molto imbarazzante in quanto fa saltare lo stesso fondamento della chiesa cattolica romana. Poiché Pietro non visse a Roma e non fu quindi martirizzato né sepolto là, ne segue naturalmente che non fu il loro primo papa.


La Chiesa Cattolica dice che Pietro fu il primo papa di Roma dal 41 al 66 d.C. per un periodo di 25 anni, ma la Bibbia mostra una storia diversa. 
Il libro degli Atti degli apostoli (sia della Bibbia Cattolica che Protestante) menziona ciò che segue: Pietro predicò il Vangelo per la circoncisione (ai Giudei) a Cesarea e Joppa in Palestina, ministrando nella casa di Cornelio, a una distanza di circa 2700 chilometri da Roma. (Atti 10:23,24) Subito dopo, verso l’anno 44 d.C. (Atti 12), Pietro fu gettato in carcere a Gerusalemme da Erode, ma fu liberato da un angelo. Dal 46 al 52 d.C., leggiamo nel capitolo 13 che egli si trovava a Gerusalemme per predicare la differenza tra la Legge e la Grazia. Saulo si convertì nel 34 d.C. e diventò Paolo l’Apostolo (Atti 9). Paolo ci dice che tre anni dopo la sua conversione nel 37 d. C., salì a Gerusalemme per vedere Pietro (Galati 1:18), e nel 51 d.C., 14 anni dopo, risalì a Gerusalemme (Galati 2:1,8) e Pietro viene menzionato. Subito dopo aver incontrato Pietro in Antiochia, Paolo dice: "Io gli resistetti in faccia perché egli era da condannare". (Galati 2:11).

Ci sono vaste prove, la verità è evidente dalle Scritture che non hanno mai fallito. Sarebbe strabiliante leggere con quale baldanza Paolo si occupa di Pietro. Sono molto pochi, se ci sono, quelli che hanno contrastato un papa e siano vissuti (tranne che in questi giorni in cui tutti sembrano contrastarlo). Se Pietro era papa non ci sarebbe stata differenza. Paolo non solo contrasta Pietro ma lo rimprovera e gli rinfaccia di essere in colpa.

Questo mi fa venire in mente la mia visita a Castel Sant’Angelo a Roma. Questo castello, che è una fortezza robustissima, è unita al Vaticano da un viottolo di elevate arcate di circa un chilometro e mezzo di lunghezza da cui i papi sono fuggiti nei momenti di pericolo. La guida cattolica romana mi mostrò la cella di una prigione dentro cui c’era un camerino quasi privo di aria. Mi raccontò che un cardinale che aveva disputato con un papa sulla dottrina era stato gettato in questa camera priva d’aria per circa due ore fino quasi a morire soffocato. Poi fu portato alla ghigliottina distante qualche metro e fu decapitato. Un’altra cosa mi rimase impressa. La guida mi fece vedere gli appartamenti dei vari papi che avevano trovato rifugio là. Mi mostrò l’appartamento delle amanti di ognuno dei papi. Ero sorpreso che non facesse alcun tentativo di nascondere niente. Gli chiesi: "Non è Cattolico, lei?" Mi rispose con umiltà: "Oh, sì, sono cattolico, ma benché io provi vergogna della storia di molti papi, spero però che i nostri papi moderni siano migliori". Allora gli domandai: "Lei sarà di certo al corrente della relazione tra papa Pio XII e la sua governante". Molti a Roma dicevano che lei gestisse gli affari del papa e pure del Vaticano. Lui chinò il capo arrossendo e disse mestamente: "Sì, lo so".

Tutto questo spiega perché la Chiesa Cattolica è stata così attenta a mantenere ignota questa scoperta. Essi riuscirono a farlo proprio dal1953, quando ci fu la scoperta dei francescani sul posto del loro convento, fino al 1959. Avendo avuto successo così a lungo nel tenere il silenzio su questa cosa, come aveva ammonito il papa, avevano abbassato la guardia nel momento in cui si presentò una persona che sembrava innocua ma insistente. Pochi si rendevano conto che questa persona avrebbe divulgato le notizie un pò ovunque. La loro posizione nel mondo è abbastanza instabile senza che questa scoperta abbia ampia risonanza.
Come ho menzionato, ebbi un colloquio molto gradevole col sacerdote Milik, ma non avevo avuto l’occasione di vedere il sacerdote Bagatti mentre era a Gerusalemme. In ogni caso, il 15 marzo 1960 gli scrissi quanto segue: "Ho parlato con tanti preti francescani e monaci e mi hanno riferito di lei e del libro che ha contribuito a scrivere. Avevo sperato di vederla e complimentarmi con lei su una tale grande scoperta, ma il tempo non lo permise. Ho sentito parlare molto di lei, che è un archeologo (con prove alla mano), mi convinsi di lei, riguardo all’antico posto di sepoltura che i resti trovati nell’ossario con sopra il nome: ‘Simon Mar Jona’, scritto in aramaico, erano quelli di Pietro". Non è stato indifferente che nella sua replica lui non abbia contraddetto la mia affermazione, cosa che avrebbe certamente fatto se l’avesse potuto fare con sincerità. "Lei mi ha davvero convinto, che i resti dell’ossario erano quelli di san Pietro". Questo conferma il discorso che ebbi col monaco francescano a Bethlehem e la storia che mi raccontò del sacerdote Bagatti che andò dal papa con la prova delle ossa di san Pietro a Gerusalemme. Nella sua lettera è possibile vedere che lui fa attenzione all’ammonizione del papa affinché si mantenga il silenzio su questa scoperta. Mi scrisse pertanto che lascia tutta la spiegazione delle parole aramaiche "Simon Bar Jona" al sacerdote Milik. Questo è un modo familiare di uscire da una simile situazione. Nella lettera del prete Bagatti si può vedere che lui si trova in una posizione difficile. Non può andare contro quello che aveva scritto nel 1953 al tempo della scoperta di questo terreno di sepoltura giudaico cristiano, né a quanto aveva detto al monaco francescano della sua visita al papa. Comunque, lui solleva la questione che lo aiuta a uscire dalla situazione senza contraddirsi del tutto e nello stesso tempo getta una cortina fumogena sulla verità. Scrisse:

"Si suppone che ‘Jona’ (sull’ossario) come io credo, possa essere un altro parente di San Pietro, perché i nomi erano passati da una famiglia all’altra. Proporre l’identificazione con san Pietro andrebbe contro una lunga tradizione, che ha un suo proprio valore. A ogni modo, presto ci sarà un altro volume che dimostrerà che il cimitero era cristiano e del primo e del secondo secolo dopo Cristo. Saluti devotissimi in Dio. P.B. Bagatti C. F. M".

Come ho mostrato, dopo l’ammonizione del papa per mettere a tacere questa cosa, padre Bagatti lascia l’interpretazione di tutto il soggetto a padre Milik che offre diversi suggerimenti, ma alla fine afferma che la dichiarazione originale di padre Bagatti può essere vera, perché l’iscrizione e i resti erano di san Pietro. È altresì molto interessante e sommamente significativo che padre Bagatti, nel suo tentativo di neutralizzare la sua affermazione originale e la costernazione che la scoperta ebbe, e avrebbe avuto se si fosse saputo universalmente, dice in riferimento al nome Simon Bar Jona (san Pietro) "Può trattarsi di un altro parente di san Pietro, perché i nomi si continuavano a passare di generazione in generazione". In altre parole lui dice che il nome di Pietro, Simon Bar Jona, avrebbe potuto essere dato a un parente dello stesso nome nelle generazioni prima di lui, o, che potrebbe appartenere a un parente, generazioni dopo san Pietro. Ambedue le speculazioni vanno oltre il campo del possibile. Prima di tutto, non poteva riferirsi a un parente prima di san Pietro perché il terreno di sepoltura cristiano poteva essere venuto solo dopo che Gesù cominciò il suo ministerio in pubblico ed ebbe dei convertiti, e di conseguenza, non poteva appartenere a un parente prima del tempo di Pietro, quando solo quelli che si erano convertiti tramite il ministerio di Cristo erano sepolti là.

Tito distrusse Gerusalemme nel 70 dopo Cristo e la lasciò desolata. Quindi, è impossibile che l’iscrizione potesse riferirsi a un parente dopo l’epoca di Pietro. Una enciclopedia spiega la distruzione in questi termini: "Con questo avvenimento la storia della Gerusalemme antica arriva a una conclusione, perché era rimasta desolata e i suoi abitanti erano stati dispersi". È del tutto evidente, che Pietro aveva circa 50 anni quando Gesù lo chiamò a essere un apostolo, e morì intorno all’età di 82 anni, cioè verso l’anno 62 dopo Cristo. Da queste cifre erano rimasti solo otto anni dal momento della morte di Pietro fino alla distruzione di Gerusalemme, era quindi impossibile che l’iscrizione e i resti appartenessero alle generazioni successive a Pietro. In quei giorni i nomi erano continuati a passare a un altro solo dopo un intervallo di molti anni. Ma diciamo che subito dopo la morte di san Pietro, un bambino fosse nominato "Simon Bar Jona", l’iscrizione ancora non poteva esserci stata di questo bambino perché i resti erano di un adulto e non di un bambino di otto anni che era morto appena prima della distruzione di Gerusalemme nel 70 dopo Cristo, al cui tempo "la storia della Gerusalemme antica giunse a una conclusione, perché fu lasciata desolata e i suoi abitanti furono dispersi".


Questo antico sito di sepoltura cristiana mostra che Pietro morì e fu sepolto a Gerusalemme, il che è facilmente comprensibile dato che né la storia né la Bibbia dicono che Pietro sia stato a Roma. Per chiarire l’argomento, la Bibbia ci riporta che Pietro fu l’apostolo dei Giudei. Fu Paolo ad essere l’apostolo dei Gentili, e sia la storia che la Bibbia raccontano che lui fu a Roma. Non c’è da stupirsi che il vescovo cattolico Strossmayer, nel suo importante discorso contro l’infallibilità papale davanti al papa e al concilio del 1870, dica: "Scaliger, uno degli uomini più preparati, non ha esitato a dire che l’episcopato di san Pietro e la residenza a Roma dovrebbero essere classificate come ridicole leggende".

Eusebio, uno degli uomini più istruiti del suo tempo, che scrisse la storia della chiesa fino all’anno 325 dopo Cristo, affermò che Pietro non è mai stato a Roma. Questa storia della chiesa fu tradotta da Jerome dal greco originale, ma nella sua traduzione lui ha aggiunto la storia inventata della residenza di Pietro a Roma. Questa pratica era comune per cercare di creare fede nelle loro dottrine, usando false dichiarazioni, false lettere e falsificando la storia. Questa è un’altra ragione per cui non possiamo basarci sulla tradizione, ma solo sulla Parola infallibile di Dio.

La segretezza che circonda questo caso è sbalorditiva, e pure comprensibile, da quando i cattolici basano ampiamente la loro fede sulla supposizione che Pietro fu il loro primo papa e che fu martirizzato e sepolto là. Ma io sono in qualche modo della opinione che i preti francescani, quelli che sono sinceri, sarebbero lieti di vedere proclamata la verità, anche se dispiacesse a quelli che sono loro superiori. Mentre ero in visita con padre Milik, gli dissi del sacerdote altamente istruito con cui avevo parlato appena prima di andare da Roma a Gerusalemme. Con me ammise che i resti di Pietro non sono nella tomba di san Pietro al Vaticano. Gli chiesi cosa fosse avvenuto di essi. Rispose: "Non lo sappiamo, ma pensiamo che l’abbiano sottratto i Saraceni". Tanto per cominciare, i Saraceni non hanno mai raggiunto Roma, ma anche se l’avessero fatto, a cosa sarebbero loro servite le ossa di Pietro? Ma non sono mai arrivati a Roma, questo dunque lo conclude. Ci facemmo una bella risata quando però gli raccontai della mia discussione con un brillante sacerdote americano a Roma. A questo prete americano domandai se sapesse che le ossa di Pietro non erano nella Tomba di Pietro al Vaticano. Ammise che non c’erano. A ogni modo, disse che un suo buon amico, un archeologo, aveva scavato sotto la basilica di san Pietro per le ossa di san Pietro per un certo numero di anni e cinque anni fa le trovò. Ora, un uomo può essere identificato dalle sue impronte digitali ma mai dalle sue ossa. Così gli chiesi come sapesse che si trattava delle ossa di Pietro. Esitò e cercò di cambiare discorso, ma dietro mia insistenza alla fine spiegò che aveva portato le ossa a un chimico, furono analizzate e fu giudicato che le ossa erano di un uomo che era morto all’età presumibile di 65 anni, e che quindi doveva essersi trattato di Pietro. Quanto può essere ridicola la gente?


Notate che tutti i sacerdoti furono d’accordo che il Vaticano e san Pietro erano stati costruiti su un cimitero pagano. Questo posto era molto appropriato per costruirvelo, come ammise pure il cardinale Newman, ci sono molte pratiche pagane nella Chiesa Cattolica Romana. Sarete certamente d’accordo che i cristiani non avrebbero mai sepolto i loro morti in un cimitero pagano, e potete essere altrettanto certo che i pagani non avrebbero mai permesso che un cristiano fosse sepolto nel loro cimitero. Perciò pure se Pietro fosse morto a Roma, cosa che è fuori questione, senza dubbio il cimitero pagano sotto la basilica di Pietro sarebbe stato l’ultimo posto in cui sarebbe stato sepolto. Inoltre, da ogni indicazione, Pietro deve essere vissuto oltre gli ottanta anni e non fino a 65. Il papa aveva ragione, per tornare al terreno di sepoltura dei primi cristiani, si devono fare dei cambiamenti, molti dei quali sono fondamentali. Ma temo che l’ammissione di papa Pio XII circa la scoperta sulla presentazione della prova del documentario di Bagatti era per appagare Bagatti ma nello stesso tempo di ammonirlo a tacere l’informazione, sperando che la verità della scoperta si sarebbe affievolita. Ma hanno detto che dopo tutti questi anni di scavi sotto il Vaticano, hanno scoperto delle parole greche in cui si legge: "Qui c’è sepolto Pietro", e si dà la data 160 d. C. Prima di tutto, la stessa struttura della frase dà subito l’impressione che recente o di tanto tempo fa, qualcuno abbia messo la scritta sperando che fosse presa come autentica per poterlo stabilire e la qual cosa allora e anche adesso, che non è mai stata dimostrato. Nella data dunque c’è una discrepanza, perché Pietro fu martirizzato intorno all’anno 62 d.C. e non nel 160 d.C. In terzo luogo, perché non menzionano niente sul ritrovamento delle ossa sotto o intorno alla scritta? Mentre visitavo le catacombe, si vedono alcune cose che non si addicono a dei cristiani, ma che tendono a indicare che i Cristiani avevano delle pratiche pagane simili a quelle della Roma di oggi. Di loro non è detto niente e solo dopo aver chiesto con insistenza al sacerdote cattolico romano, che fa da guida, ti dice che quelle cose, le immagini e tutto il resto furono disposti là secoli dopo della prima era cristiana.
Nel 1950, appena qualche anno prima della scoperta del sito di sepoltura cristiano a Gerusalemme, il papa fece la strana dichiarazione che le ossa di san Pietro si trovavano sotto san Pietro a Roma. Lo strano era che da quando si era cominciato a costruire la chiesa nel 1450 (ultimata nel 1626), eressero la Tomba di san Pietro sotto l’ampia cupola e le colonne sinuose del Bernini. Da allora si moltiplicarono i milioni che furono ingannati perché credessero che i resti di san Pietro erano là, cosa che la gerarchia aveva appreso non essere vera, come è dimostrato dall’ultima dichiarazione del papa. La seguente fu pubblicata nel Newsweek del 1 luglio 1957:

"Nel 1950 papa Pio XII nel suo messaggio natalizio annunciò che la tomba di san Pietro era davvero stata scoperta, come tramandava la tradizione, sotto l’immensa cupola della cattedrale (benché non ci fosse alcuna prova che le ossa scoperte là appartenessero al corpo del martire)". Le parentesi sono del Newsweek.

Fare un annuncio di tale importanza quando non c’è assolutamente alcuna prova è piuttosto assurdo come viene pure riportato nella rivista Time del 28 ottobre, 1957 (come sopra, citiamo l’articolo parola per parola).

"È ora disponibile una relazione completa in inglese delle scoperte sotto san Pietro, dell’archeologo britannico Jocelyn Toynbee e John Ward Perkins. Gli autori non erano membri del gruppo di scavo, ma gli studiosi Toynbee (un cattolico romano) e Perkins (anglicano) diffusero i rapporti ufficiali del Vaticano ed esaminarono con scrupolo gli scavi. Le loro attente conclusioni indipendenti non tenevano conto della precisa dichiarazione del papa". (La dichiarazione del papa secondo la quale i resti di san Pietro erano stati trovati sotto san Pietro a Roma). Lo scavo sotto san Pietro per i resti di san Pietro procedono ancora segretamente, a dispetto della dichiarazione del papa del 1950.

Poi nel 1965, un archeologo dell’università di Roma, la prof. Margherita Guarducci, parla di un nuovo gruppo di ossa che appartenevano a Pietro. La storia era fantastica ma mancava di buon senso e rasentava pure la puerilità, ma come l’uomo che sta per annegare si afferra a una pagliuzza, questa per molti era una pagliuzza. Ma il "Palo Alto Times" (California), del 9 maggio 1967, uscì con un articolo sull’argomento che cito: "Altri esperti, e tra loro Msgr. Joseph Ruysschaert, vice prefetto della biblioteca del Vaticano non è convinto della prova di Miss Guarducci. 'Ci sono troppi punti oscuri’, disse ai cronisti in un recente giro alle grotte del Vaticano, ‘Non ci sono tracce ininterrotte di ossa. Ci manca una prova storica. Potrebbe trattarsi delle ossa di qualcun altro’. Il Vaticano sembrerebbe essere dalla parte di monsignore perché finora non ha fatto un passo per riconoscere ufficialmente le ossa come quelle di Pietro", continua l’articolo.

Il prete intelligente che ho menzionato disse che le ossa di Pietro che sono state trovate erano di un uomo morto a circa 62 anni come indicato dalle prove. Papa Pio XII dichiarò che queste ossa erano le ossa di san Pietro, nel suo messaggio natalizio del 1950. Queste furono le stesse dichiarazioni del Newsweek: "Non c’è comunque nessuna evidenza che le ossa scoperte là appartenessero al corpo del martire (Pietro)", come pure sono al di sopra del dubbio le dichiarazioni degli archeologi che lavorano al caso. Il papa, però, era felice al pensiero che avevano trovato le ossa di san Pietro finché un ulteriore esame dimostrò che queste ossa erano quelle di una donna. Questo fatto fu pubblicato in un articolo sul soggetto nella "Cronaca di San Francisco" del 27 giugno 1968.

Per continuare, la storia di un altro caso in cui si erano sbagliati: A dispetto delle affermazioni dell’alta autorità papale e della risultante lezione che avrebbe dovuto essere appresa, il papa, un anno dopo reclamava le ossa della prof. Margherita come fossero proprio quelle di san Pietro. Quando erano state trovate le ossa, si era dato poca importanza ed erano state archiviate come tali. Ma quando il primo gruppo di ossa di Pietro fu respinto così tragicamente, rimase un vuoto e doveva essere fatto qualcosa. Di nuovo rivolsero i loro pensieri alle ossa archiviate, l’unica speranza che avevano di successo. In esse c’era un barlume di speranza per le ossa del supposto teschio di san Pietro che per secoli era stato custodito nella chiesa di san Giovanni Laterano a Roma. Da una generosa mescolanza di idee, supposizioni, teorie e avido pensiero, emerse una equa e logica storia. Fu allora dichiarato da papa Paolo come verità del Vangelo, che queste dunque, erano le ossa autentiche di san Pietro, e fu accettato come tale dalla gran parte dei fedeli. Per un pò tutto andò bene finché non si presentò un altro ostacolo. Questa volta, come volle il caso, le ossa unite al teschio che erano state custodite per secoli come quelle di san Pietro, furono trovate non compatibili alle ossa più recenti di san Pietro. Il dilemma era terribile. Si trovavano tra il diavolo e le vastità del mare azzurro. Hanno giocato sporco con i teschi di san Pietro provocando confusione. Si scelse di reclamare queste ossa pretese dalla prof. Margherita come false, o sostenendo come falso il teschio accettato da centinaia di papi come quello di san Pietro. Rigettarono il passato piuttosto che esporsi al ridicolo del presente. La prof. Margherita sostiene in questo articolo che apparve nel Manchester Guardian di Londra, come pure al San Francisco Chronicle del 27 giugno 1968, che riguardava il teschio di san Pietro accettato da tempo come un falso. Poi l’articolo continua: "Le centinaia di papi e milioni di cattolici romani che hanno accettato e venerato l’altro teschio erano state vittime innocenti di un’altra tradizione primitiva".

Ma la dichiarazione più sorprendente nel lungo articolo trovato nel giornale menzionato sopra, è: "La studiosa non ha sottoposto (le ossa di Pietro?) ai moderni test scientifici, che avrebbero determinato l’età approssimativa, perché temeva che il procedimento li avrebbe ridotti in polvere". Come potrebbe ogni studio scientifico delle ossa essere eseguito senza prima determinare scientificamente l’età della persona o delle ossa? Questo sarebbe stato di maggior interesse e più importante per ulteriori ricerche. Sia ogni scienziato che chimico sa che non occorre sottoporre l’intero scheletro al test per determinare l’età. Una parte dell’osso dello stinco o di una costola sarebbe stato sufficiente. È evidente che lei stava proteggendo le "ossa di Pietro" da un altro possibile disastro, che un’altra età errata avrebbe causato. Il Vaticano e altri hanno calcolato da tutte le prove esistenti che Pietro sia vissuto intorno agli 80 - 82 anni, e che sia morto intorno agli anni 62 o 64 d.C. Queste cifre si adattano perfettamente, come fa tutto il resto del caso, con i resti che si sono trovati sul terreno di sepoltura cristiano del Monte degli Ulivi e nell’ossario sul quale è stato chiaramente e meravigliosamente scritto: Simon Bar Jona in aramaico. Quanto segue è stato tratto dal libro: Le razze del genere umano, a pagina 161:

"Gli strenui tentativi di portare Pietro, l’apostolo degli ebrei d’oriente, nel territorio di Paolo a Roma e di martirizzarlo là sono indegne di considerazioni serie alla luce di ogni prova contemporanea. Alla sua età (ottantadue anni) non sarebbe stato fattibile. In nessuno degli scritti di Paolo c’è il minimo accenno a che Pietro fosse mai stato in quella città. Tutte le affermazioni contrarie sono state fatte nei secoli successivi e sono fantasiose e non fondate. Il papato non fu organizzato che nella seconda metà dell’8° secolo. Esso si è scisso dalla chiesa d’oriente (dalla Enciclopedia Britannica 13° edizione, volume 21, pagina 636) sotto Pipino III, anche il papato, da Abby Guette".

Il grande storico Schaff, afferma che l’idea che Pietro sia stato a Roma è incompatibile col silenzio delle Scritture, e anche col puro fatto della epistola di Paolo ai Romani. Nell’anno 58, Paolo scrisse la sua epistola alla chiesa romana, ma non menziona Pietro, benché nomini 28 capi della chiesa di Roma (Romani 16:7). Si deve infine concludere che se l’intero argomento viene trattato con distaccata obiettività, si deve trarre l’inevitabile conclusione che Pietro non sia mai stato a Roma. Fu Paolo ad essere vissuto e che scrisse a Roma, ma dichiarò che: "Il solo Luca è con me". (II° Timoteo 4:11)

Traduttore: De Lisi Domenico




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